domenica 11 settembre 2011

Noi Giovani e la protesta globale. Il 15 ottobre
















Nella nostra piccola Italia, restiamo ormai troppo spesso invischiati in un vortice di problemi che ci relega purtroppo ad un immeritato provincialismo, immeritato specie se consideriamo la storia del nostro Paese e le energie intellettuali di tanti italiani in giro per il mondo.
Abbiamo un Premier che parla ancora di comunismo e di toghe rosse e che perde tempo a farsi ricattare da strani faccendieri, abbiamo ancora un Papa che pontifica sulla vita e la famiglia ignorando la scienza e i diritti, abbiamo guarda caso la più vecchia classe politica d'Europa.
Tuttavia, sembra che la crisi finanziaria abbia funzionato da megafono e che le scottanti questioni internazionali stiano improvvisamente trovando il loro spazio nell'agenda politica italiana. In modo traumatico, certo, perchè ci stiamo accorgendo sempre più di essere un Paese schiavo dell'incapacità di crescere e quindi dell'impossibilità di risanare il suo enorme debito, dopo che per troppi anni nulla è stato fatto per creare realmente lavoro e sviluppo e smontare l'economia sommersa che ci soffoca.


Oltre a questo, ci accorgiamo che la situazione è più complessa del previsto anche i nostri vicini europei sono costretti ad emanare misure restrittive e di contenimento, insieme agli Stati Uniti, che hanno dovuto fronteggiare il primo declassamento dei titoli nella loro storia ed imbastire una manovra cruciale per far fronte al proprio debito. Nel frattempo ci troviamo di fronte ad un disagio diffuso a livello globale, che si intreccia certamente con i casi specifici, vedi i Paesi nordafricani, ma che certamente ha in comune la sensazione di essere di fronte ad una politica vecchia e fallimentare, dove non vengono realmente fatti gli interessi dei popoli sovrani. Questo messaggio si sta diffondendo come mai prima in rete e sui social network, generando una condivisione di idee e di pensieri assolutamente senza precedenti per ampiezza e cosmopolitismo.

Per il 15 ottobre, la pagina Democracia Real YA, creata dagli indignados spagnoli del 15M, ha lanciato una giornata di manifestazione mondiale pacifica contro la politica delle banche, delle corporazioni e della corruzione.
Si tratta del maturare di un sentimento globale di rinnovamento che affonda le proprie radici nella primavera araba e nelle crisi economiche degli ultimi anni.

Di fronte a questo scenario, la nostra generazione ha un compito decisamente arduo. Liberarsi al più presto del berlusconismo, un virus che rischia di infettare anche l'Europa, e riscrivere le regole del gioco, tirando fuori dal baratro un Paese in cui evasione e corruzione la fanno da padroni.
Nel mentre, è tuttavia necessario affacciarsi sin da subito allo scenario internazionale. La politica nazionale di un singolo Stato, per quanto improntata ai migliori propositi, non sembra più sufficiente a garantire equità sociale e sviluppo se non si mostra capace di rompere i ponti con un potere economico che tende a sfuggire di mano persino alle organizzazioni internazionali.

Come affrontare tutto questo? Innanzitutto, bisognerà interpretare al meglio le cause e le anime di questo movimento globale, che si presenta poliedrico sotto tutti gli aspetti, metodi, popoli, mezzi, fatti. A fronte di un comune e legittimo disagio, diverse sono le sensibilità politiche che lo compongono. Tra le idee comuni l'obiettivo di uno sviluppo globale fondato sull'economia verde, la sostenibilità ambientale e le energie rinnovabili, che inverta il processo di inquinamento e sfruttamento del pianeta. Ma sopratutto, l'idea di una politica che abbia come priorità l'interesse dei cittadini del mondo. Come?

Dalle ali più “estremiste” a quelle più “moderate” sappiamo bene che sono presenti coloro che rifiutano l'intero sistema e che brucerebbero le banche l'indomani, insieme a coloro che magari risultano più moderati solo perchè meno convinti. Le ragioni di ogni atteggiamento, che non sempre possono essere giustificazioni, vanno comprese; un conto è ciò che viene fatto, un conto è perchè viene fatto. Tuttavia, credo che la maggior parte del movimento sia determinata nel chiedere l'abolizione dei privilegi della classe politica, nuovi strumenti di partecipazione diretta dei cittadini, nuovi strumenti di trasparenza negli affari pubblici, una distribuzione del costo della crisi che coinvolga grandi patrimoni, banche e multinazionali e, sopratutto, la costruzione di organismi internazionali in grado di anteporre gli interessi delle comunità a quelli corporativi. In breve, non contro banche e multinazionali tout court, ma contro banche e multinazionali che diventano fini a se stesse e devono sopravvivere al di là delle crisi sulle spalle dei cittadini. Qualcuno obietterà che non c'è nulla da fare e che il sistema è questo, che le banche vivono della creazione del debito e che la politica è schiava.

Il mio parere è che abbiamo bisogno di ricondurre questo meccanismo sotto controllo, compreso quello della famosa “creazione della moneta”, che è ormai distante anni luce dall'economia reale. Per farlo occorreranno tempi molto lunghi, perchè si tratta di invertire un processo nato quasi un secolo fa, quando, non a caso, tra le due guerre mondiali, l'economia iniziò a prendere il sopravvento sulla politica. Dal un punto di vista nazionale, intendo delle nazioni, occorre puntare sulle risorse locali, sull'innovazione, sull'economia reale e sul rilancio del primario; mi viene in mente, nel concreto, l'economia fondata sulla canapa, una tecnologia accantonata negli anni '30 per forti interessi nell'ambito del settore petrolchimico, che potrebbe portare alla produzione di svariati prodotti, da surrogati della plastica a carburanti, da mangimi a medicinali. Da un punto di vista internazionale, abbiamo invece bisogno di un sistema politico mondiale molto più forte di quello attuale, che stabilisca delle nuove “regole del gioco”, anche per i mercati internazionali.

Un dato è certo, abbiamo un sistema produttivo che può e deve fare di più per il benessere globale, basta considerare la distribuzione mondiale di cibo, acqua e ricchezza. Ma non bisogna fare l'errore di pensare di poter eliminare tutte le infrastrutture intermedie, pubbliche o private, che gestiscono le attività produttive, perchè il non considerare l'importanza e la difficoltà della gestione e dell'organizzazione di risorse e produzione è il principale errore teorico-propositivo dell'estremismo di sinistra. E' invece una questione di limiti e di controllo. Da questo punto di vista, i nostri padri costituenti avevano visto bene:

“L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali” (art. 41).

E' impossibile immaginare ed attuare concretamente questo principio a livello globale?

Se un secolo fa il livello della tecnologia portava a pensare come fisiologica e necessaria una contrapposizione di classe, per una questione di limiti strutturali del sistema, abbiamo adesso un potenziale di produttività tale da poter effettivamente garantire un benessere diffuso, fermo restando che il benessere materiale va sempre associato alla libertà personale, elementi che non è detto sempre coincidano.

E' chiaro che possono sembrare discorsi al limite tra sogno e banalità, ma di fronte ad un movimento di carattere cosmopolita, è necessario che prendano avvio anche queste riflessioni, specialmente se pensiamo al fatto che questo movimento dovrà presto interloquire con i Paesi del BRIC (Brasile, Russia, India, China), grandi potenze in espansione molto diverse tra loro che tendono a riprodurre i difetti di quel capitalismo attualmente sotto accusa e che non hanno ancora sviluppato una piena sensibilità per i diritti dell'uomo. Insomma, è un movimento che nasce e che mette in comune culture diverse, e che si proietta su uno scenario mondiale in cui America ed Europa, “l'occidente” stanno lentamente cedendo il passo al BRIC e alla riscossa dei Paesi arabi.

Un palcoscenico dove, politicamente, le vecchie ideologie sono pressochè scomparse, e a riempire la scena sono ormai le diverse forme di fondamentalismo religioso, di autoritarismo e di una cultura globale figlia dell'occidente che oscilla tra neoliberismo e cosmopolitismo solidale. Forse il mattone su cui costruire è proprio quest'ultimo. Ed essere presenti il 15 ottobre, nel proprio angolo del globo, ma con i grandi occhi e orecchi del terzo millennio, potrebbe essere un primo piccolo passo.



Rosario Coco
Resp. Naz. Scuola, Università e Cultura Giovani IDV
www.giovanidivalore.it

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