mercoledì 20 marzo 2013

Botta e risposta con Andrea Ichino sulle tasse universitarie




Martedì scorso (13 Marzo) ho discusso con Andrea Ichino durante la presentazione del libro "Facoltà di Scelta", presso il Dipartimento di Chimica dell'Università la Sapienza di Roma. Ichino, autore del libro insieme a Daniele Terlizzese, sostiene che è possibile trovare 4 miliardi l'anno di risorse aggiuntive per l'università portando le tasse ad una media di 7.500 euro in modo da far pagare in redditi più alti, provvedendo alle borse di studio per i meno abbienti attraverso un sistema di prestiti che gli studenti non sarebbero obbligati a restituire se non dovessero trovare occupazione. 

Tra le domande più immediate: chi garantisce sui prestiti se non gli studenti? come si può chiedere a chi oggi inizia a studiare di indebitarsi in partenza? è vero che i laureati lavorano più dei diplomati, ma quanti laureati trovano lavoro e, sopratutto, quale lavoro? Non vi è un rischio enorme di ridurre la platea di accesso alla conoscenza aumentando le tasse? La proposta sembra più un pretesto per ridurre l'investimento pubblico in formazione, partendo da presupposto che l'investimento in formazione è in qualche modo redditizio e dev'essere chi ne usufruisce a pagarlo.

 Quanto andrebbe fatto, anche in virtù di un ragionamento simile, è aumentare la progressività della tassazione esistente, riportare l'Italia all'interno della media OCSE per investimenti in istruzione (siamo fanalino di coda). Le tasse, inoltre, stando sempre alla media europea andrebbero abbassate anzichè alzate, poichè siamo il terzo Pasese con le tasse più alte dopo Inghilterra e Olanda e con la minor qualità dei servizi. Dove trovare i soldi? considerando che negli Stati Uniti sta scoppiando la bolla dei prestiti agli studenti (è vero che quelli proposti da Ichino non sono mutui e vanno pagati solo se si guadagna, ma qualcuno deve pur garantire), forse il modo migliore è iniziare a tagliare spese come TAV ed F35, fare una seria legge contro evasione e corruzione e prefiggersi di arrivare almeno al miliardo di euro investito annualmente dai Paesi europei nel diritto allo studio, anziché i 175 milioni attuali che lasciano senza borsa 57.000 aventi diritto.

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