mercoledì 14 novembre 2012

Quanta amarezza. Ricominciamo a pensare la politica.

Quanta amarezza.  Serve a ben poco sottilizzare sul violento e sul non violento o sul manganello più o meno facile. La verità è che impedire ai manifestanti qualunque accesso alle istituzioni è un modo intollerabile di chiudersi a riccio da parte delle istituzioni, che può solo generare scontri.  La verità è che i giovani di questo Paese non vedono futuro, che la scuola è considerata una voce di spesa così come il welfare. Se ti avvicini ad un poliziotto, dopo gli scontri, ti confida che ha anche lui 3 figli disoccupati. E allora si comprende l'assurdità di tutto questo e quelle botte sotto i tuoi occhi sono ancora più amare. La libertà di manifestare è già violata quando a spingerti è  l'angoscia e ti senti una pedina mossa contro altre pedine. E' ill fallimento dello stato sociale e di diritto. Detto questo c'è chi si è accanito sui manifestanti, per cui va ripresa subito la battaglia per l' identificabilità deii poliziotti e va promosso anche un'intervento parlamentare.. Ma bisogna identificare bene anche le cause di tutto questo, che non stanno certo nel campo di battaglia.

Stanno nell'insufficienza della politica, un insufficienza delle persone, delle scelte e del pensiero. Bisogna ricominciare a pensare. Ci serve un'altra idea di individuo, non più quella astratta della tradizione illuminista-liberale, ne tantomeno quella collettiva della tradizione marxista. Chi manifestava oggi non era un gruppo di singoli che andavano semplicemente a rivendicare la libertà di espressione scritta nelle carte, nè un collettivo impazzito che vuole sconvolgere il sistema. Erano persone che come ognuno di noi si stanno formando in una comunità e si stanno vedendo negata la possibilità di diventare sè stesse, chi con il proprio genio, chi con la propria ordinarietà. E' questo ciò di cui abbiamo bisogno. Una politica che pensi all'individuo come qualcosa inserito a prescindere in un sistema di relazioni, che va seguito in tutte le fasi della sua vita. I cui diritti si devono misurare non solo sulle carta ma sulla possibilità di ciascuno di poter esprimere il proprio potenziale.

Credo che nella domanda di giustizia sociale che si è levata oggi da tutta Europa ci sia una grande richiesta di dare senso alla politica. I cittadini prima della finanza, le persone prima del debito. Non sono solo slogan. Oggi la politica può è deve gestire fenomeni di enorme portata. Dietro quegli slogan si cela la richiesta di una politica forte e coraggiosa come non mai, che si renda conto dei cambiamenti epocali e si assuma la responsabilità di governare gli eventi e i fatti umani risolvendo questioni che non si erano mai poste. E questo vuol dire via subito al modello intergovernativo, creazione di uno Stato Europeo reale,  riforma del sistema bancario, regole al mercato finanziario internazionale, regole internazionali sui brevetti farmaceutici e alimentari,  politica energetica a impatto zero, riconversione industriale, welfare universale, sostegno all'economia reale dei territori che crea impresa e occupazione, ivestimento nell'innovazione e nelle risorse umane. Ma sopratutto, l'idea che il confine tra naturale e artificale, politico e non politico,  sia ormai un ricordo e che bisogna difendere l'essere umano, attivamente, durante tutto l'arco della vita.

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