martedì 16 aprile 2013

SQuirinarie, ovvero cosa la Democrazia NON E'.















La Democrazia, questa sconosciuta. Parola abusata ma anche concetto come non mai mutato, nelle forme e nelle prassi, nell'ultimo secolo e negli ultimi 20 anni in particolare. Siamo di fronte ad un mutamento genetico della politica senza precedenti, come hanno dimostrato le politiche del 2013, che sono solo la punta di un iceberg molto più profondo e radicato nel mutamento della società.

Le Quirinarie sembrano qualcosa di rivoluzionario e ci lasciano al tempo stesso con l'amaro in bocca. Ma anche se fosse venuto fuori il nome più auspicabile, per competenze e biografia, uno Zagrebelsky e un Rodotà ad esempio, il problema sarebbe rimasto ugualmente, nonostante la maggiore fortuna. 

Ci sono dei punti fermi, infatti, che per individuano perfettamente ciò che la democrazia non è, che sono sempre più travisati. Meglio ancora, si tratta di piccole sfaccettature di un prisma elevate a rappresentazioni complete, che trasformano il prisma in un oggetto piatto.


Il primo lo aveva già individuato Aristotele. La democrazia può diventare governo della folla, oclocrazia, cioè caos, una maggioranza che governa per sè e non per l'interesse di tutti. 
La democrazia non è dittatura della maggioranza, per citare anche Rousseau.
Non è, insomma, un potere di vita e di morte che si vince attraverso il voto, come pensa Silvio. 

Poi c'è chi confonde la democrazia con la "spartizione". Ho ancora in mente la Santanchè da Santoro che invocava solennemente la democrazia, in pompa magna, per difendere i diritti del PDL sul quirinale, vista l'elezione di Grasso e Boldrini. 
La democrazia non è lottizzazione, non è sedersi a tavolino e dividersi una preda, ignorando di cosa si stia parlando. 

Poi c'è che confonde la democrazia con gli strumenti per realizzarla. 
L'era digitale ci fornisce strumenti per realizzare una democrazia quanto più partecipata ed informata, fino a modificare, geneticamente, l'assetto della politica stessa. Tuttavia la trasparenza, l'informazione e l'interazione diretta vertice-base non sono democrazia. 
Si è può avere una monarchia assoluta perfettamente trasparente, che comunica ogni singolo provvedimento e che interagisce con il popolo considerando ciò che gli conviene e ignorando ciò che non conviene. 
Questo è quello che succede quando la rete e i social network  diventa sinonimo di democrazia. 

Infine, c'è chi confonde la democrazia con la "decisione" o la "consultazione" del popolo. 
La democrazia non è un plebiscito. Non è Ponzio Pilato che fa scegliere alla folla Gesù o Barabba. 

Le due costanti della democrazia, che rimangono sempre tali e che in troppi oggi dimenticano, sono 
le regole e il confronto. 

Le regole, le costituzioni, e la nostra costituzione in particolare, stabiliscono un equilibrio tra i poteri. 
Le regole, all'interno dei movimenti e dei soggetti politici dovrebbero stabilire metodi di partecipazione e di decisione completi e vincolanti. 
Le regole, in sostanza, garantiscono e danno senso al confronto. 

Nell'era digitale non è pensabile che la democrazia si riduca a migliaia di commenti spiattellati su un post di facebook e di un blog (ambito della trasparenza), oppure in sondaggi e consultazioni dove le scelte vengono fatte senza alcun dibattito e senza alcuna procedura che dia valore alla scelta effettuate   (interazione). 

Bisogna iniziare ad utilizzare realmente la rete per produrre confronto, discussione e deliberazione. 
Esistono software, gli online voting system come liquid feedback, in grado di realizzare tutto questo e ci soggetti politici come i partiti pirata europei che lo hanno dimostrato entrando nelle istituzioni. La parola chiave è il metodo. La democrazia in rete deve produrre contenuti vincolanti, deve garantire la possibilità di discussione tra diverse esperienze e competenze, deve affiancarsi alla democrazia dei territori e confrontarsi cone essa. 

L'evoluzione della democrazia, insomma, non è una corsa isterica alla novità, non è l'assalto talebano alla rete come terreno di conquista e di egemonia culturale, un pò come qualcuno interpretò la televisione nel '94. L'evoluzione della democrazia che la rete e la crisi globale ci impongono è molto più radicale di queste Quirinarie,  che altro non sono che un plebiscito basato sulla simpatia; è una rivoluzione di metodo che cambierà lentamente l'essenza stessa della politica.




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